Mi siedo sui gradini che conducono all’acqua, in attesa dei miei genitori, che stanno per venire a prendermi, e sto guardando il cielo nero, dove è appesa la Luna enorme. Ma anche la Luna è… di cartone!!! Sto guardando il suo riflesso: wow! – qualcuno ha ritagliato una copia di cartone della Luna celeste e l’ha posizionata sull’acqua dello stesso cartone (!!!)…

I genitori, apparsi dallo Specchio, si stanno avvicinando ai gradini sull’altra sponda del fiume. Ma all’improvviso, da questa parte, dietro le mie spalle, si sono sentiti dei passi che rimbombavano: l’Uomo in Nero mi ha preso con cautela in braccio, come una bambina, e mi ha portato via.

San Marco. Mattina. Il Sole. La piazza pian piano si sta animando inondata di gente. Fermata presso una colonna vicino al Duomo, vedo il mare e l’isola di San Giorgio di fronte. Sono in un vestito bianco. Sta suonando una musica allegra. E poco a poco comincio a vedere Venezia come la vedevo prima. Ma… come sono finita qui? Cosa sto faccendo qui?

Sono circondata da fantasmi: i miei amici della Biblioteca dell’Universo ed i miei genitori.

L’Uomo in Nero sorride invitandomi a ballare con lui proprio sulla piazza. I fantasmi ci stanno circondando. Nessuno li vede tranne me. Peccato. Adesso vedo i fantasmi anche di giorno. Molto più chiaramente di tutto ciò che vede la gente comune. I fantasmi sussurrano: «Alice, dai, sorridi! Balla, per favore! Lo volevi così tanto! Hai bisogno di lui!»

E mi sono resa conto che oggi è il mio matrimonio, quindi indosso un abito bianco. Ma gli unici ospiti sono i miei fantasmi. E sto ballando a San Marco coll’Uomo in Nero. I fantasmi, avendo raccolto le colombe, ce le lanciano, facendomi sorridere…

All’improvviso la mia memoria è ritornata completamente, travolta dalla disperazione, mi sono ricordata come il mio mondo è stato crollato… Di nuovo, tutto è di cartone, finto, inquietante! Questa città è come una prigione! Ed ho deciso di uscirene…»

A. Kriuchkova, romanzo «Angelo custode»,

parte 3. «Sette secondi»,

capitolo 7. «La Luna di cartone»


Il conflitto tra Amore e Morte, insito nella prosa di Kriuchkova, si manifesta anche nel ciclo poetico su Venezia, la cui magica attrazione affascina non solo l’autore, ma ipnotizza anche il lettore.

Da un lato Venezia, citando Alessandra Kriuchkova, è una «trappola», «labirinto», «apocrifo del poeta», «sogno», «chimera», «cattivo presagio», «casa delle tragedie», «ultimo rifugio», «musica di piogge, ombre ed uccelli», «serve una stella minacciosa», «ponti che portano ai guai».

Il nome stesso della città è polisemantico, sebbene, a parte il fatto che è associato alla tribù dei Veneti, dal cui nome la regione fu chiamata dai Romani «Venezia» (lat. Venetia), non ci sono altri significati ufficiali. Ma l’immaginazione del poeta è sconfinata, Venezia evoca varie associazioni: è la ghirlanda di Ofelia dell’Amleto di Shakespeare con fiori dal significato ambiguo, che simboleggia l’amore infelice; ed il pianeta Venere stesso, pianeta dell’amore con le sue due immagini: Lucifero, «Stella del mattino», ed Espero, «Stella della sera». E forse «Venezia» evoca altre associazioni per alcuni.


Eppure —


«il vetro di Murano mi stava attraversando come una sinfonia di sfumature»,

«i miei ponti non ci hanno visto insieme!»,

«Dipingimi… un caffè ed una lanterna in frac, nel corso degli anni scintillante di speranza, che la felicità ci tocchi prima che il cuore anneghi nell’oscurità» —


l’Amore vince – l’autore è fiducioso del suo ritorno:


«Al tatto, torniamo alla città dove le canzoni vengono cantate all’acqua. Ridendo dei cervoni che squillano, danziamo tra le maschere ed i volti, splendiamo coi ponti sotto il sole, pari agli spiriti ed agli uccelli»,