– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!..
– Perché?
– Perché io sono diventato un gran signore.
– Un gran signore tu? – ha detto la Volpe, e ha cominciato a ridere: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere[58], si pettinava i baffi con le zampe davanti.
– C’è poco da ridere, – ha gridato Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca[59], ma queste qui sono cinque bellissime monete d’oro.
E ha tirato fuori le monete.
Al simpatico suono di quelle monete, la Volpe per un moto involontario ha allungato la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto ha spalancato gli occhi: ma poi li ha richiusi subito, che Pinocchio non si è accorto di nulla.
– E ora, – gli ha domandato la Volpe, – che cosa vuoi fare con le monete?
– Prima di tutto, – ha risposto il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e con i bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.
– Per te?
– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.
– Guarda me! – ha detto la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.
– Guarda me! – ha detto il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.
In quel mentre[60] un Merlo bianco, che si stava appollaiato sulla siepe della strada, ha fatto il suo solito verso e ha detto:
– Pinocchio, non dar retta[61] ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!
Povero Merlo! Il Gatto gli si è avventato addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi, l’ha mangiato in un boccone. Lui ha chiuso gli occhi, e ha ricominciato a fare il cieco come prima.
– Povero Merlo! – ha detto Pinocchio al Gatto, – perché l’hai trattato così male?
– Ho fatto per dargli una lezione. Così un’altra volta imparerà a non mettere bocca nei discorsi degli altri.
Erano giunti più che a mezza strada quando la Volpe, fermandosi, ha detto al burattino:
– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?
– Cioè?
– Vuoi tu, di cinque zecchini, farne cento, mille, duemila?
– Magari! e la maniera?
– La maniera è facilissima. Invece di tornarti a casa tua, dovresti venire con noi.
– E dove mi volete condurre?
– Nel paese dei Barbagianni.
Pinocchio ha pensato un poco, e poi ha detto risolutamente:
– No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andare a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta. Chi lo sa, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Purtroppo io sono stato un figliolo cattivo. E io l’ho provato a mie spese, perché mi sono capitate dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni[62] soltanto a pensarci!
– Dunque, – ha detto la Volpe, – vuoi proprio andare a casa tua? Allora va’ pure, e tanto peggio per te.
– Tanto peggio per te! – ha ripetuto il Gatto.
– Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna[63].
– Alla fortuna! – ha ripetuto il Gatto.
– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.
– Duemila! – ha ripetuto il Gatto.
– Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – ha domandato Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.
– Te lo spiego subito, – ha detto la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro, per esempio, uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia, e la mattina dopo che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro.