«Senti, Maria. Rita non capisce cosa dice l’erba».
Traduzione Alfredo Bertollo
Su Sirius
Alfredo mi dice: «Mi ha fatto molta impressione una signora anziana, all’apparenza sulla novantina»
Ci eravamo conosciuti sul lungomare dove lei andava d’inverno ogni sera. Sedeva su una panchina e guardava il cielo.
Nell’Italia, ricca d’amore, come d’altra parte in tutto il mondo, penso io ascoltando Alfredo, si va in fretta con i sentimenti. Ci si bacia con passione sulle panchine abbarbicandosi con i corpi, si vive assieme abbastanza a lungo come fidanzati, poi nozze sontuose e dopo due-tre anni divorzio, la cui pratica qui nei paesi cattolici può durare dai tre ai sette anni e anche di più.
Ma ci sono anche molte coppie che hanno vissuto assieme quaranta-cinquant’anni che mantengono il sentimento. Quando essi camminano tenendosi per mano suscitano proprio tenerezza.
«Sulla passeggiata una persona solitaria involontariamente provoca attenzione», prosegue Alfredo,«Essa sedeva da sola con il mare freddo e il cielo invernale».
Nonostante l’illuminazione degli eleganti fanali intirizziti si vedevano sempre più chiare le stelle.
Mi avvicinai alla vecchia e conversai con lei..
«Mio marito, prima di morire», mi confidò, «mi chiamò vicino a sè e, guardando dalla finestra mi disse: «Vedi quella stella? Quella è Sirio. Io andrò a stare là».
E lei tutte le sere andava all’appuntamento con lui.
Traduzione Alfredo Bertollo
Inganno ottico
Quindici minuti sono passati ed io, arrabbiata per il ritardo della intervista e per la quantità di limitazioni d’ informazioni relativa ai contratti tra gli artisti e la direzione, mi diressi verso l’uscita, quando mi fermò un uomo che zoppicava, vestito in stile sportivo.
Aveva qualcosa che sciolse la mia rabbia e fin dai primi minuti tra me e lui si stabilirono rapporti confidenziali.
Egli apparteneva ad una dinastia di proprietari di un circo risalente al 1870. Quando il circo arrivò in una piccola città italiana, suo bisnonno dalla parte di madre, era un giovane insegnante che perse la testa per una cavallerizza e lasciò la scuola e la casa nativa per stare con gli artisti. Sposò la sua amata e in breve diventò direttore del circo.
Gli feci delle domande e il modesto direttore mi stupì con le sue risposte, e dopo una mezz’oretta, chiese ai colleghi di accompagnarmi al suo palco ed andò dietro le quinte. Era la vera immagine di un perfetto amministratore.
Mentre mi accompagnava zoppicava notevolmente. L’ho visto in pista a lavorare con gli elefanti, poi in gabbia con le tigri, infine con i cavalli danzanti. Era un’altra persona, un bell’uomo che sapeva fare tutto, che ci sapeva fare con gli animali.
Entrò infine in scena come capogruppo, salutò il passionale pubblico italiano accompagnato da applausi e da grida frenetiche..
E solo alla sera tardi, dopo aver spedito in redazione il materiale, mi accorsi che dal mio posto privilegiato non gli avevo trovato alcun difetto fisico.
Sapeva andar bene a cavallo, ma la maggior parte dei numeri li faceva in piedi. E parlava con il pubblico in piedi. Agli spettatori non poteva venire in mente neanche un sospetto che egli zoppicasse.
Raccontai questa storia a Rimma, equilibrista unica la cui vita era sempre stata legata al circo.
«Sì, succede così», rispose Rimma.«C’era un artista per il quale la mano destra era il momento cruciale del numero perchè era basato sul sostegno con le mani. Capitò che egli perdesse il braccio destro fino al gomito ma imparò a sostenersi su una sola mano e continuò a fare lo stesso numero e nessuno degli spettatori notò alcuna differenza. Essi videro la sua perizia e si entusiasmarono di lui».